L’amministratore, salvo dispensa assembleare, è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso (articolo 1129 del Codice civile e articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile). Ove l’amministratore abbia già ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti del condomino moroso, egli non sarebbe in grado di accordare al debitore una transazione per disporre il pagamento mediante un piano di rientro. A tale proposito, risulta particolarmente rigorosa la giurisprudenza di merito, la quale individua il “piano di rientro” come una transazione, per la quale è necessaria l’approvazione tramite assemblea dei condòmini (fra le tante, Tribunale di Milano, sentenza 5021/2017).
Ciò premesso ove il ritardo dell’amministratore nell’esazione del credito condominiale abbia tangibilmente creato un danno al condominio per il recupero del credito (rendendolo in tutto o in parte non più recuperabile), il professionista potrebbe essere chiamato ex post a rispondere in termini di risarcimento del danno. Tuttavia, non pare che la costituzione di un’ipoteca sull’immobile da parte di un terzo creditore possa essere considerata un impedimento tale da rendere inesigibile il credito condominiale. Infatti il condominio, in forza del titolo esecutivo già ottenuto, rimane in grado di svolgere tutte le azioni di riscossione forzosa del caso (compreso il pignoramento immobiliare e/o l’intervento in una procedura preesistente) per recuperare il credito in esso contenuto.
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