Tale norma prevede che, per essere esonerato dalle responsabilità per i contributi condominiali maturati, il condomino che vende la propria unità immobiliare debba fornire all’amministratore copia autentica dell’atto di cessione. Il motivo di questa comunicazione però, non deve limitarsi a una questione prettamente economica, ma deve essere ricercata anche nella necessità di avere sempre i dati anagrafici aggiornati, onde consentire all’amministratore di poter convocare e comunicare con i soggetti realmente aventi diritto sull’immobile. Tuttavia, il Garante per la protezione dei dati personali, nel suo provvedimento numero 106 del 19 febbraio 2015 (documento web 3858451), ha chiarito i limiti del medesimo articolo 63 comma 5 disposizioni attuative Codice civile sottolineando la necessità di rispettare i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza nella raccolta dei dati personali.
Solo informazioni necessarie e pertinenti
Nel provvedimento citato, il Garante ha affermato che l’amministratore non può richiedere ai condòmini di allegare la copia completa degli atti di compravendita per la semplice gestione dell’anagrafe condominiale. Secondo il Garante, l’articolo 1130, comma 1, numero 6 del Codice civile prevede che l’amministratore debba registrare solo le informazioni necessarie e pertinenti: le generalità dei singoli proprietari, il codice fiscale, la residenza o domicilio e i dati catastali dell’unità immobiliare.
Questo implica che l’amministratore non ha il potere di richiedere la copia dell’intero atto di acquisto, poiché quest’ultimo contiene dati non pertinenti rispetto alla gestione condominiale, come il prezzo di acquisto o informazioni relative al regime patrimoniale tra coniugi. Secondo il Garante, questi dati sono eccedenti rispetto agli scopi per cui vengono trattati, e dunque non devono essere richiesti né conservati.
L’interpretazione del Garante però, a ben vedere, contrasta con la lettera della norma codicistica posto che l’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile stabilisce che il condomino resta responsabile dei contributi condominiali maturati fino al momento in cui l’amministratore riceve una copia autentica del titolo di proprietà che attesti il trasferimento. Questa apparente contraddizione può senza dubbio creare incertezze.
La soluzione che si può considerare preferibile stante il contrasto tra le due posizioni è quella che, per evitare di trattare dati non necessari, l’amministratore dovrebbe preferire la ricezione della dichiarazione notarile di avvenuta stipula. Se però, il condomino decide di fornire la copia dell’atto autentico, l’amministratore non può rifiutarsi di riceverlo, ma deve comunque trattare i dati presenti nell’atto nel rispetto del principio di non eccedenza, andando così a cancellare e a non rendere visibili a terzi soggetti (nemmeno ai collaboratori di studio) tutte le informazioni eccedenti contenute nell’atto rispetto alla finalità perseguita e, quindi, alle indicazioni dei dati che si possono trattare di cui al 1130 comma 1 numero 6 Codice civile.
Lo scopo della norma lo si rinviene anche nella circostanza che il Registro dell’anagrafe condominiale deve essere aggiornato ogni volta che vi sia un trasferimento di proprietà o un cambiamento dei titolari di diritti reali o personali di godimento su un’unità immobiliare. L’amministratore ha l’obbligo di acquisire le informazioni necessarie e, in caso di inerzia del condomino, può procedere all’acquisizione autonoma dei dati presso i registri pubblici, addebitando i costi al responsabile.
Tutte le operazioni di raccolta e aggiornamento dei dati devono essere eseguite nel pieno rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza, sanciti dal Gdpr. Questo significa che l’amministratore deve limitarsi a raccogliere solo i dati strettamente necessari per l’identificazione dei soggetti che partecipano all’assemblea e per la determinazione delle singole quote condominiali.
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